sabato 3 marzo 2012

Recensione A BURIED EXISTENCE

A Buried Existence – The Dying Breed
(2011, Autoprodotto)
Hardcore

Oggi è il primo marzo. Quale modo migliore per iniziare il mese, se non ascoltando un disco nuovo e fresco di un gruppo emergente? Ed eccomi qui a parlarvi degli A Buried Existence, gruppo Hardcore di Catanzaro, che ci presenta il Full Length intitolato “The Dying Breeed”. L’opener Family Ties è caratterizzata da una batteria molto veloce e martellante che accompagna tutto il pezzo, mettendo in mostra la velocità delle mani e dei piedi di Luca Panebianco, autore di un egregio lavoro dietro le pelli, penalizzato però dallo scarso uso di elettronica nelle registrazioni (la grancassa si sente davvero poco e ha poco attacco, nonostante il mio impianto hi-fi con subwoofer...). Il secondo pezzo, Revenge, ha un ingresso particolare che ti sorprende al primo ascolto: infatti entri subito nel cuore del brano, dove la voce di Marco Velardi e gli estenuanti riff di chitarra di Gianluca Molè la fanno da padrone. Il terzo pezzo, Perverted Church, è molto valido in tutto e per tutto: una nota di merito va allo splendido outro con cui si chiude, caratterizzato dalla presenza delle chitarre in primissimo piano. Doppio pedale a manetta e gran lavoro di Ride nella title track dell’album, che stilisticamente ricorda un pochino gli August Burns Red, con qualche richiamo ai lavori di doppia cassa di Dave Lombardo. Reborn In The Sick si apre con uno splendido intro caratterizzato da un arpeggio di chitarra e una batteria lenta e ritmata, che richiama un po’ i lavori con influenze Ambient dei grandissimi Amia Venera Landscape.Questo, forse, è il miglior pezzo del disco, in cui hanno un ruolo primario tutti e 4 i componenti del gruppo: tanti riff di chitarra che si ripetono come se fossero ritornelli, con la voce che non segue uno schema fisso e la martellante batteria che mira a mantenere vivo il pogo. Public Enemies è un brano “di rottura”, che parte sparato fin dalle prime battute, per poi lasciarti in preda all’headbanging all’ingresso della voce, con un continuo susseguirsi di parti più cadenzate ed altre velocissime: 2 minuti e 33 secondi che ti stendono! Il settimo pezzo, Unite, dura poco più di un minuto, e sinceramente mi ha deluso un po’, dato che da pezzi così brevi ci si aspetta una carica particolare o qualcosa di più sperimentale. Secondo me questo è il pezzo meno riuscito del disco: pur risultando coerente nello stile, è un po’ piatto. In New World Disaster ci sono forti richiami thrashcore, che ricordano molto lo stile compositivo dei Trivium, ma i cambi di tempo sono degni di nota: ti sorprendono, spiazzano, e obbligano a muovere la testa a tempo di musica. Bello anche l’intermezzo con l’arpeggio di chitarra elettrica distorta, che ricorda un po’ il “ritornello” (se di ritornello si può parlare, le virgolette sono d’obbligo) di Composure degli August Burns Red (come idea, non come melodia). Combat Shock è un pezzo molto cadenzato, in cui Gianluca Molè e Giuseppe Tatangelo fanno un gran lavoro per dare il giusto sostegno ritmico al pezzo. Stupendi anche gli assoletti di chitarra negli intermezzi non cantati, così come le armonie sui riff base. L’album si chiude con 28 Weeks Later, un pezzo che si apre con un giro di basso stupendo, che mantiene da solo tutto il pezzo, accompagnato da una batteria cadenzata e da un insistente serie di 4 note di chitarra che si ripete per tutto il pezzo, anche quando subentra prepotentemente la chitarra distorta. Uno stupendo outro molto riuscito, in cui è degno di nota il drumming di Luca Panebianco: molto meno virtuoso rispetto agli altri pezzi, ma decisamente massiccio e riuscito. Il continuo crescendo che caratterizza il brano lo fa assomigliare più a un intro che a un outro, ma alla chiusura capisci che hai passato una bella mezzoretta in compagnia di un grande gruppo. The Dying Breed è un lavoro riuscitissimo, a parte qualche sbavatura di produzione: non so se è stata una scelta artistica/stilistica o meno, ma la batteria è molto meno dominante di quanto dovrebbe essere in qualunque album HC, risultando spesso oscurata dagli altri strumenti. Sarebbe stato più opportuno per conferire un sound ancora più duro un maggiore utilizzo dell’elettronica nella registrazione della batteria, con un utilizzo ingente di trigger che conferiscono la giusta durezza al sound del bravissimo drummer. Un 7 e mezzo a questo bell’album, sperando di sentir parlare ancora e al più presto degli A Buried Existence!

Voto: 7,5/10

Tracklist:
1) Family Ties
2) Revenge
3) Perverted Church
4) The Dying Breed
5) Reborn In The Sick
6) Public Enemies
7) Unite (Throwdown)
8) New World Desaster
9) Combat Shock
10) 28 Weeks Later (Outro)


JoeMFZB