lunedì 31 ottobre 2011

Recensione ANNO MUNDI

Anno Mundi - Cloister Graveyard in the Snow
(2011)
Heavy Rock

Molto spesso, quando una band vanta collaborazioni di alto livello nelle sue produzioni, è per fornire un "biglietto da visita" convincente, che però maschera diverse pecche nella proposta musicale vera e propria.
Non è fortunatamente il caso degli Anno Mundi, validissima band tricolore autrice di un Heavy Rock di chiara ispirazione Sabbathiana, con alcune contaminazioni anche nella scena Doom e Sleaze Metal degli anni 80.
Analizzando più approfonditamente la mia premessa, le "collaborazioni di alto livello" di cui parlavo sono quelle di componenti di band di immenso rispetto come Graal, Banco del Mutuo Soccorso, Rondò Veneziano, e tra le quali spicca la presenza di Paolo Lucini degli Ezra Winston, formazione che può vantarsi di aver portato il neo Progressive Rock nel nostro paese. Se tutti questi grandi artisti hanno onorato con la loro presenza il debut album degli Anno Mundi, un motivo ci sarà di certo.
A livello di produzione, mi ha fatto davvero piacere constatare come siano riusciti a ricreare perfettamente il sound delle vecchie registrazioni degli anni 70 e 80: quei piccoli fruscii di sottofondo e quelle sonorità granitiche, nude e crude, che tanto ci hanno deliziato nelle passate decadi, e che nell'ambiente musicale odierno vengono surclassate dalle produzioni pompose e (a volte troppo) perfette, grazie all'utilizzo dei computer.
Appena inizierete ad ascoltare il disco, vi sembrerà di essere letteralmente tornati indietro nel tempo, ma la nostalgia lascerà presto spazio alla soddisfazione nel notare che anche oggigiorno esistono band, come gli Anno Mundi, in grado di non dimenticare mai le radici, e di riproporle in maniera impeccabile.
E anche il fatto che "Cloister graveyard in the snow" sia disponibile solo in vinile non fa che rendere ancora più particolare e "retrò" questo esperimento musicale. Tra pochi mesi verrà commercializzata la consueta versione CD, ma per il momento sono solo i collezionisti di dischi in vinile a poter gustare il debut album degli Anno Mundi. La confezione contiene anche alcuni simpatici gadgets. Insomma: hanno pensato veramente a tutto.
Come già citato nella premessa, il sound non è "Sabbathiano" al 100%: ci sono anche diverse contaminazioni, tra cui lo Sleaze Metal dei Guns n'Roses (distintamente riconoscibili nell'opening "Scarlet queen") e il Doom/Heavy Metal dei Candlemass con Messiah Marcolin. Come al solito nelle mie recensioni mi soffermo prevalentemente sull'aspetto vocale: la voce di Federico si adatta bene alla mistura di generi suonata: riesce a modulare bene le differenze vocali rendendosi a tratti simile a Ozzy Osbourne e a tratti ad Axl Rose.
Detto questo, posso quindi accingermi a descrivere forse l'unica pecca di questa proposta musicale: l'originalità. Avendo preso pari pari il sound delle suddette band, manca ancora l'identità personale che possa fungere da "sigillo di qualità" per gli Anno Mundi, che per ora si adagiano su terreni già battuti. Ciò non toglie che le sei canzoni dell'album siano molto piacevoli e ben strutturate, con un ottimo songwriting e un'esecuzione di pari livello.
Per concludere, "Cloister graveyard in the snow" è un eccellente debut album che fa subito capire l'elevato livello tecnico e compositivo di questa band, che sa il fatto suo e che con un pizzico di innovazione e personalità in più può tranquillamente aspirare ad un posto nell'olimpo dei "mostri sacri" del Rock.


Grewon

Tracklist:

side one

1 - Scarlet queen
2 - The shining darkness
3 - Dwarf planet

side two

4 - Gallifreyan's suite:
a) Access to the 4th dimension
b) Tardis
c) Timelord
5 - Cloister graveyard in the snow
6 - God of Sun



Contatti:
e-mail: annomundigroup@gmail.com
MySpace: http://it.myspace.com/annomundigroup
ReverbNation: http://www.reverbnation.com/annomundi
FaceBook: http://www.facebook.com/annomunditheband

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Recensione EYECONOCLAST

Eyeconoclast – Sharpening Our Blades On The Mainstream
(2011, Downfall)
Death/Thrash Metal

Nella scena Metal italiana, uno dei nomi più di maggiore rilievo é sicuramente quello degli “Eyeconoclast”, band romana fondata nel 2002 che propone un violento e per nulla scontato Death/Thrash Metal.
Dopo aver rilasciato il loro album di debutto “Unassigned Death Chapter” sotto contratto con la label inglese “Stagefright Records”, il quintetto interrompe la collaborazione con quest’ultima firmando per la svedese Downfall, con cui avviene il remix dell’album e, nel 2011, il release dell’EP “Sharpening Our Blades On The Mainstream”.
L’EP presenterà tre brani, tutti quanti in linea con lo stile della band: violenza, ritmi serrati e una tecnica più che apprezzabile.
La prima traccia, la title track, metterà in mostra che le qualità della band sono più intatte che mai, con il grandissimo lavoro dietro le pelli del batterista Mauro Mercurio, già conosciuto per la sua ex-presenza in band come Hour Of Penance e Fleshgod Apocalypse.
La seconda traccia è “Anoxic Waters”, in cui si nota ancora una volta la presenza dei ritmi serrati tipici della formazione romana, con l’alternarsi di parti più “melodiche” o “tecniche”. Il lavoro del quintetto si conclude in maniera più violenta che mai, con “XXX - Manifest Of Involution”, traccia anch’essa estremamente apprezzabile e varia, in cui certo non manca la presenza di un assolo particolarmente coinvolgente.
Siamo tutti in attesa del loro prossimo lavoro, che premette davvero alla grande!

Dave

Link myspace:
http://www.myspace.com/eyeconoclast

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Intervista - THE COLLECTIVE UNCONSCIOUS

1) Come si è formato il gruppo e qual è l'obbiettivo che si è prefisso? (insomma un po' di info sulla band!)

(Antonio) Il gruppo si è formato nel lontano 2007 da un'idea mia e di Giacomo. Ci siamo incontrati in una scuola di musica di Roma e abbiamo deciso di unire le nostre forze per creare qualcosa di concreto che rispecchiasse i gusti e le esperienze musicali maturate fino ad allora. Un primo periodo l'abbiamo passato suonando e registrando qualche idea chiusi nella sua cameretta, ma quasi subito abbiamo sentito la necessità di allargare il gruppo cercando gli altri componenti della band e dopo varie ricerche e cambi di line-up ci siamo stabilizzati con Marco alla chitarra che è stato il primo ad entrare in pianta stabile e subito dopo Claudio alla batteria e infine Guglielmo alla voce. Non credo ci sia un obiettivo che ci siamo posti se non quello di far arrivare la nostra musica a più persone, cosa che si sta rivelando un'impresa ardua visto la situazione discografica e i trend musicali italiani. Per il nostro primo full lenght punteremo di certo all'estero.
(Claudio) Credo si possa dire che il gruppo si sia formato quel giorno che ci siamo ritrovati ad accennare “The Bound” nella sala più piccola della storia delle scuole di musica, ero scosso ed ho suonato malissimo ma comunque c'erano già delle idee sulle quali lavorare quindi poteva bastare, cominciavamo il percorso lì ed era il 2007. L'obiettivo della band è fare musica liberamente sempre e comunque come piace a noi, poi naturalmente sgomitiamo nell'underground per avere qualche attenzione in più che sicuramente meritiamo.


2) L'idea del nome della band è molto originale.
Chi ha avuto questa idea e perchè.

(Guglielmo) La scelta non è stata casuale. Mi piaceva pensare che fosse un biglietto da visita, che fosse un contenitore per i testi che sarebbero venuti in futuro.
Il concetto di inconscio collettivo è talmente complesso e vasto che non può essere descritto in due righe, quindi vi rimando a quegli autori che hanno scritto fiumi di pagine al riguardo... posso dire in breve che è intimamente connesso ad una visione dell'uomo che travalica i confini personali e temporali. Cercare di entrare in contatto con questa dimensione, più ampia ed impersonale del mondo psichico quotidiano, mi stimola a comprendere meglio l'Esistenza con la E maiuscola; se dovessimo fare il classico esempio del viaggio come metafora della vita spesso ci dimentichiamo che le nostre potenzialità sono impressionanti, svilendo noi stessi, accontentandoci del traguardo raggiunto.
Ecco di cosa mi interessa trattare nei Collective: quali sono i nostri "blocchi"; cosa ci impedisce di andare oltre; in quanti modi possiamo cadere in questo empasse; e dove potremmo arrivare se riuscissimo a conoscerci meglio? Ridurre comunque il gruppo a queste tematiche credo sia riduttivo. Partiamo dal nome per poi andare a finire chissà dove...


3) Quali sono le maggiori influenze per la band in generale e in particolare per i singoli componenti?

(Antonio) Qui posso parlare solo a nome mio in quanto il gruppo è formato da elementi piuttosto eterogenei in fatto di gusti, nonostante c'è sempre un filo comune che ci lega. Ascolto un pò di tutto dalla Dubstep agli Artic Monkeys. Difficile poter menzionare tutte le influenze ma se devo farlo direi che i gruppi che mi hanno maggiormente influenzato in questi anni sono stati sicuramente Tool, A Perfect Circle, Oceansize, Isis e Neurosis.
(Marco) Le ultime 5 band nominate da Antonio credo siano quelle in comune un po' a tutti noi. Io personalmente aggiungerei Pink Floyd, la band che mi ha cambiato la vita artisticamente parlando, Porcupine Tree, Opeth, Anathema, insomma quella parte di sound più britannico/europeo che abbiamo è dovuta a me eh eh eh! E poi non posso tralasciare il tanto caro e sano Heavy Metal che mi accompagna dall'adolescenza.
(Claudio) Ognuno di noi ascolta cose diverse, o meglio ascoltiamo tutti tantissima musica, naturalmente ci sono dei punti in comune, dei riferimenti iniziali che servono ad una band per cominciare... Comunque cerchiamo tutti di dare un contributo originale al pezzo contaminandolo con parecchie influenze diverse per poi tirare fuori un sound, che con il tempo diventerà sempre più riconoscibile (ci stiamo lavorando).
Infatti nessuno si è accorto che su “Stupid Spoiled Whores” io in realtà suono “Come Together” dei Beatles!
(Giacomo) Per quanto mi riguarda, io sono cresciuto a “pane e Led Zeppelin”, infatti il mio primo strumento è stato la batteria… poi gli ascolti si sono evoluti con l’età: dai Beatles ai King Crimson, The Cure (Simon Gallup è uno dei bassisti che mi ha più influenzato), Philip Glass, Radiohead, molta elettronica e così via…
(Guglielmo) Stando a quanto ho letto sulle recensioni dell'EP, Tool ed A Perfect Circle sono le band che vengono nominate più frequentemente, anche se ne sono stati fatti di nomi... mi trovo abbastanza d'accordo, ma in realtà siamo alla ricerca di una nostra identità specifica alla quale teniamo molto. Chiaramente non si può non tener conto della nostra formazione musicale, che inevitabilmente ci ha plasmati, ma non vorrei che questo diventasse uno stigma per i Collective. Personalmente non saprei dire cosa maggiormente mi influenza in fase di composizione, posso solo dire che ho amato band come Soundgarden, Faith No More, Alice In Chains fin dall'adolescenza (periodo in cui ero circondato da metallari doc ai quali comunque devo molto!).
Ora posso ascoltare dagli Offlaga Disco Pax (band italiana che stimo molto) ad Hanne Hukkelberg, ai Mogwai.
Io comunque darei più importanza all'influenza che le nostre singole personalità hanno sul gruppo e tutto ciò che lo riguarda. Siamo cinque individui molto diversi tra loro che insieme generano un equilibrio imbarazzante nella personalità dei Collective. Questo, per me che lo vivo in prima persona, emerge palesemente nei nostri brani.


4) Qual è il vostro metodo compositivo: chi scrive i testi, di cosa trattano, chi scrive la musica e come arrangiate i pezzi.

(Antonio) Solitamente si parte da un riff di chitarra mia o di basso e ci lavoriamo su fino a quando non ci soddisfa pienamente. E' un processo molto lungo a volte ma nella quale ognuno di noi è fondamentale. Una volta che abbiamo dato forma al pezzo, Guglielmo inizia a lavorarci su per trovare la giusta linea melodica e il testo per far si che venga modellato smussato e infine chiuso.
(Marco) Ci sono pezzi nati e chiusi in pochissimo tempo, tipo "Pure Cradle", una canzone nata da un riff di basso pieno di delay su cui noi altri abbiamo ideato le nostre parti con una naturalezza che ricordo ci fece spavento, nel giro di 3 prove il pezzo era chiuso con tanto di testo e linea melodica, ed è rimasto lo stesso da quel giorno fino alla registrazione. O la stessa "Stupid Spoiled Whores", venuta su cazzeggiando su un riff malato di Giacomo... Sono momenti straordinari, in cui le nostre menti sono in totale condivisione! Ovviamente non è sempre così, The Bound ad esempio, ma anche altri pezzi ancora in cantiere, in origine era molto diversa dalla versione finale, abbiamo dovuto adattare e/o rimuovere intere parti per permettere a Guglielmo di inserire le sue linee melodiche. In questi casi succede che la situazione diventi anche abbastanza difficile, perchè si tratta di rimuovere un idea ormai radicata nella mente, e ripartire da zero, uno sforzo mentale non indifferente, ma pur sempre stimolante e appagante quando si trova poi la soluzione.
(Giacomo) L’unico modo efficace per essere produttivi è la buona e vecchia “cantina”: siamo una band che ha davvero un gran bisogno di suonare e provare molto; più tempo passiamo in sala prove e più componiamo, ovviamente. Ognuno di noi contribuisce al meglio con il proprio strumento e le proprie idee. La cosa molto stimolante è che siamo sempre in continua ricerca: sono sicuro che i nostri futuri pezzi avranno un altro suono e un’altra atmosfera rispetto a quelli dell’EP, magari grazie all’uso di altri strumenti elettronici e acustici.
(Guglielmo) Io mi occupo della linea melodica e dei testi. Mi piace pensare di poter affrontare qualsiasi argomento a me caro nel momento specifico in cui scrivo un pezzo. Può capitare che abbia un'idea che attende il brano giusto per svilupparsi, come è capitato per “The Bound” od “Orphan” (brano, quest'ultimo, che non si trova sull'EP), oppure venire ispirato dalle emozioni che il pezzo in cantiere mi trasmette al momento, come in “Pure Cradle”, “Stupid Spoiled Whores” o “Woodworm”.
Nell'EP i quattro brani raccontano in qualche modo le potenzialità ed i limiti della mente umana. “The Bound” è una canzone nella quale emerge la piccolezza dell'uomo che si confronta con i confini del proprio pensiero, con l'impossibilità di comprendere il mondo esterno nella sua completezza; in “Pure Cradle” c'è il potere della musica che aiuta l'uomo a darsi delle risposte bypassando la razionalità, dritta verso una dimensione puramente emotiva; in “Woodworm” c'è una persona alle prese con i propri "pensieri fissi", le proprie ossessioni, che ostacolano una crescita potenzialmente infinita; “Stupid Spoiled Whores” è stato un pò un gioco per me ed è un testo che alleggerisce l'atmosfera... Ho provato ad immaginare i desideri e le ambizioni di tutte quelle simpatiche signorine di bell'aspetto un pò istrioniche che fanno della loro avvenenza l'unica qualità sulla quale puntare.


5) Come e da cosa nasce l'idea di incidere The Collective Uncoscious EP.

(Antonio) L'idea nasce dalla voglia di fare un salto di qualità ed aver un prodotto professionale da poter mandare in giro e cercare di ottenere così un contratto discografico.
(Marco) Dopo anni chiusi in sala a provare e tirare fuori idee, era arrivato il momento di avere finalmente un prodotto in mano, per potersi presentare ma anche per una soddisfazione personale. L'idea di mettere "nero su bianco" quello per cui abbiamo lavorato seriamente per 3 anni era il giusto passo da fare per chiudere il cerchio, i pezzi dell'EP rispecchiano le nostre prime idee, i primi The Collective Unconscious, e sono brani a cui teniamo parecchio. Sarebbe stato un delitto non registrarli in studio.
(Claudio) E’ sempre bello avere fra le mani il proprio disco, ci piaceva l'idea di racchiudere dentro una scatola tutto il primo capitolo dei Collective e di farlo girare un po’ per vedere che effetto faceva.
(Giacomo) Era la cosa giusta da fare. Incidere i brani più significativi e rappresentativi dalla nascita della band. Ora dobbiamo impegnarci per trovare la giusta etichetta, la più adatta possibile alla nostra musica e mi dispiace dirlo, ma non penso che sia qui in Italia.


6) Qual è il vostro approccio allo studio di registrazione.

(Marco) Entrare in studio è sempre un’esperienza unica. A noi piace sperimentare, quando hai però poco tempo (e soprattutto denaro) ogni scelta assume un’importanza decisiva, e devi saper coniugare fantasia e praticità per ovvi motivi. Speriamo di poter avere più tempo e tranquillità quando registreremo il nostro primo disco, secondo me è tra i fattori più importanti per arrivare ad avere un prodotto che davvero ci soddisfi al 100%!
(Claudio) E’ sempre un momento delicato per quanto mi riguarda, registrare è molto difficile soprattutto se non hai tutto il tempo che vuoi per farlo, quindi in quei momenti penso a cose che mi caricano all'istante come il rendere onore allo strumento che suono o ringraziare, dando il meglio di me, tutte quelle persone che credono in quello che faccio.
(Antonio) E' un'esperienza interessante in quanto ti permette di vedere i pezzi secondo una prospettiva diversa. Spesso mentre suoni sei così preso dalla musica che non fai caso a tutti i dettagli che in fase di registrazione vengono fuori. Capita quindi di modificare delle parti o suonarle in modo diverso solo nel momento in cui ti ritrovi in studio e devo ammettere che è molto stimolante notare i piccoli errori o anche solo rivedere un arrangiamento per renderlo più efficace.


7) Quali sono le aspettative per il disco che avete registrato.

(Antonio) Direi che ormai le aspettative sono poche. A parte le recensioni positive e qualche live siamo riusciti ad ottenere poco ma non ci arrendiamo di certo. Punteremo tutto sul nuovo lavoro che è già in fase di scrittura e dovrebbe arrivare entro l'estate prossima. E' un lavoro diverso rispetto a questo nostro primo EP, stiamo maturando un sound "nostro" e non vediamo l'ora di poter entrare in studio e registrare i pezzi nuovi.


8) Parlateci dei vostri live. Qual è il vostro approccio al palco.

(Antonio) Siamo decisamente una band statica, niente pose da finti rocker o tarantolati da scosse elettriche, ci concentriamo sulla musica e sulla buona riuscita dei pezzi questo per me è l'importante. L'aspetto prettamente visivo per me va inteso come attenzione alle scenografie, luci, videoproiezioni e in questo senso speriamo di poter metterci a lavoro presto per fare del nostro live anche un'esperienza visiva oltre che sonora.
(Marco) Ognuno vive il live in maniera personale, per dire io muovo continuamente e affianco a me c'è Giacomo che è completamente immobile con gli occhi chiusi, per noi è un viaggio mentale, spesso neanche ci guardiamo più di tanto tra di noi, chi ci vede potrebbe pensare che suoniamo ognuno per fatti suoi, e invece noi stiamo godendo del nostro viaggio "collettivo" ed è quello il nostro modo di comunicare al pubblico, la nostra musica a servizio dell’ascoltatore... Sembra un discorso da freakettone però è davvero così!
(Giacomo) Sono perfettamente d’accordo con i miei cari chitarristi. I nostri live sono sempre diversi l’uno dall’altro e noi ce li viviamo sempre come un viaggio, un’esperienza unica. Vorrei tanto che anche il pubblico entrasse in simbiosi con noi durante il concerto, ma per far si che questo accada, come diceva Antonio, dobbiamo studiare bene la parte visiva: avere le giuste luci, le giuste videoproiezioni, ecc…


9) In conclusione cosa ne pensate della scena musicale italiana (ovviamente per quanto riguarda il rock o i generi underground)

(Antonio) Ci sono ottime band in Italia che sanno suonare e hanno qualcosa da dire, purtroppo mancano gli spazi adatti, la professionalità e le persone che sono disposte a fare scelte coraggiose e puntare su un prodotto "non commerciale".
Non dimentichiamoci che l'Italia è il paese che concepisce il Rock come quello suonato da Vasco Rossi o Ligabue o di prodotti da supermercato come quei fantocci che escono dai Reality Show. E' una situazione sconfortante purtroppo e trovare la motivazione e la forza a portare avanti il proprio progetto non è sicuramente facile, ma sono sicuro che la coerenza e la caparbietà alla fine pagano.
(Marco) Completamente d’accordo con Antonio. Quello che noto è che c’è ormai una netta suddivisione tra mainstream e underground, due mercati che viaggiano su linee parallele, come fossero due mondi distinti. Ci si rivolge ad un pubblico diverso, con delle scelte artistiche diverse, attraverso canali e linguaggi diversi. E questa cosa per me è assolutamente positiva, perché mentre tra major e grandi artisti c’è ormai un appiattimento e una chiusura verso l’esterno che fa paura, nell’underground c’è un continuo evolversi di band, etichette, movimenti e perché no anche mode. Ovviamente c’è da sgomitare anche nell’underground, ma vedendo le realtà che stanno venendo fuori in questi ultimi anni (vedi Teatro degli Orrori) non c’è che esserne fiduciosi per il futuro della musica italiana.
In realtà penso anche che con i TCU siamo tagliati fuori pure da questo discorso, per via della lingua inglese e del genere poco “vendibile” al pubblico italiano.
(Giacomo) Penso che la buona musica nel nostro paese c’è e c’è sempre stata: dalla lirica ai cantautori, dal Progressive al Rock ai giorni nostri (Verdena, Marlene Kuntz, Afterhours, CSI…). Il vero problema sono le radio, le tv, le major che hanno smesso di considerare da tempo la musica arte, ma solo uno dei tanti modi per fare soldi, troppi soldi, così rincoglioniscono la gente martellandole il cervello 24 ore su 24, convincendola che la vera musica italiana è quella che propongono loro. Speriamo che grazie ad internet e alle persone come noi e voi, tutto questo un giorno finisca, ma ho paura che sia quasi un’utopìa…


Conclusione:
(Marco) Grazie Pasquale (grande amico!) e grazie a Metal Arci per averci dato questo spazio e la possibilità di parlare dei The Collective Unconscious, grazie davvero del supporto!!!

Pasq


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Recensione ACRYLATE

Acrylate – Chemical Defection
(2011, X-treme Rising)
Thrash Metal

Gli Acylate sono un trio proveniente da Crotone. Nella Calabria natìa sono già forti di un’ottima visibilità, grazie all’intensa attività live e ai 3 demo cd, che dalla nascita (2005) ad ora hanno preceduto il loro primo full lenght che andiamo a esaminare.
Devo dire che nell’unica volta in cui ho visto all’opera in sede live la band (in quel di Manduria) rimasi enormemente impressionato dalla compattezza del sound e dall’ottima esibizione, al punto da annoverarli tra le migliori band underground viste sinora.
Chemical Defection” rappresenta l’esito del loro processo di maturazione, le 11 tracce presenti ci mostrano una band sicura e consapevole delle proprie potenzialità, professionale e attenta alla cura dei dettagli ma soprattutto è un album valido che può essere un solido trampolino per la ricerca di una maggiore considerazione, che per le bands del sud è molto più sudata e difficile.
La particolarità maggiore della band sta nell’affilata voce del cantante chitarrista Max, un connubio tra Schmier e Flegias, uno scream espressivo e tagliente ( acrilica per l’appunto, ci starebbe bene come definizione!) che non può lasciare indifferenti e che non delude anche nei pochi frangenti in growl.
Altro punto a favore è senz’altro la componente riguardante i testi, una band capace ma che non ha nulla da dire è incompleta, gli Acrylate non si abbandonano a banalità stra-abusate ma si concentrano su tematiche impegnate e concrete come la lotta alla mafia, la terribile strada ss 106 (“the killing road” ) e la paura del nucleare, giusto per citarne alcune, vale la pena dare un’attenta lettura del booklet per cogliere le sfumature che durante il pezzo potrebbero non cogliersi.
Tra i migliori pezzi dell’album non si può non citare le datate “Sound & Fury”, la già citata “SS 106 (The killing road)” e “Anthology of slaughter”, ma anche la nuova terremotante “Evilhand” (apprezzata anche nella compilation free “Underground Southern Conspiracy”) e l’omonima “Acrylate”, che chiude l’album.
La pecca di “Chemical Defection” potrebbe essere forse l’eccessiva omogeneità che si nota in alcuni pezzi un po’ simili,che contrasta con il tentativo di sperimentare (accennato e non troppo forzato) che si intravede in altri brani. Per il resto gli Acrylate possono essere soddisfatti del risultato finale di questo debut album. Il loro Thrash-Death di ottima fattura troverà facilmente nuovi proseliti se la qualità continuerà a essere di questo livello.


Torrrmentor

Tracklist:
1. Red Snake
2. Fight The Pain
3. Chemical Defection
4. Evilhand
5. Antology Of Slaughter
6. Atomic Chaos
7. Foul Play
8. S.S. 106 (The Killing Road)
9. Black Fog
10. Sound & Fury
11. Acrylate

Contatti:
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venerdì 7 ottobre 2011

Recensione INSOMNIA CREEP

Insomnia Creep - Hallucination City
(2011, Autoprodotto)
Extreme Alternative Metal


Davvero controverso questo debut album degli Insomnia Creep, side project del chitarrista dei Cold Aenima, il cui ultimo lavoro è stato recensito proprio qui su Metalarci. Controverso in quanto è molto difficile definire un genere in cui inserire la band. Troviamo infatti molti elementi di Death melodico di scuola svedese, riff e fughe tipiche del Black, alcune partiture Progressive, ma poi spesso e volentieri si sfocia nell’Alternative metal.
Non avendo trovato personalmente alcuna band di riferimento, passo subito ad analizzare quest’album. Tecnicamente siamo su livelli molto elevati (persino superiori, per alcuni aspetti, a quelli dei Cold Aenima), e anche il songwriting si difende benissimo, pur non facendo gridare al miracolo. “Hallucination City” è composto da 9 tracce, omogenee e ipnotiche, nel loro incedere a volte rabbioso, altre volte cupo e introspettivo, altre volte onirico e sognante. Il cantato intervalla il growling, lo screaming, il grunt, e anche il cantato pulito. A parte alcune piccole stonature e una pronuncia inglese non eccezionale, fa davvero un ottimo lavoro, trovandosi a suo agio in ogni punto del disco, senza sfigurare mai. Sugli altri strumenti non ho molto da puntualizzare, se non che svolgono il loro lavoro senza sbavature.
Non voglio sembrare un recensore di manica larga, assolutamente. Il fatto è che di questi tempi è molto difficile trovare una band senza talento, o un disco senza lati positivi. Attualmente, grazie al bagaglio tecnico del musicista medio, è possibile ottenere un disco di discreto spessore anche senza disporre di grandi budget. È per questo che anche “Hallucination City” si distingue nel numero per un songwriting particolarmente vario e ispirato e per un prodotto complessivamente assai valido, in grado di comunicare qualcosa di nuovo anche dopo diversi ascolti. “Only bleed” la mia traccia preferita fra tutte.


Grewon

Tracklist:
01 – Way to act
02 – Enslaved
03 – Welcome to crystal lake
04 – No one trust you
05 – Your last prayer
06 – Only bleed
07 – Guilty man
08 – Hail to the king
09 – Hallucination city

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Speciale Ultime Uscite - Dream Theater

Dream Theater – A Dramatic Turn of Events
(Settembre 2011, Roadrunner Records)
Progressive

Ah però. Si è molto parlato del nuovo album dei Dream Theater, il primo dopo la dipartita dello storico e leggendario batterista Mike Portnoy. Si è parlato molto, e male. Ho ascoltato a fondo il nuovo lavoro, e devo dire che sono pregiudizi. Per carità, l’assenza di Mike si sente eccome, il nuovo drummer è troppo schematico per i dogmi del genere suonato… ma è appena arrivato, e ha sulle spalle una grossissima responsabilità da portare avanti: voglio perciò dargli la mia piena fiducia per il futuro. Complessivamente il disco è leggero, al livello di Octavarium, dal quale però se ne discosta per un songwriting molto più ispirato (soprattutto nella prima metà del disco), per i chorus forse più catchy ma mai banali. I virtuosismi non mancano ma è stato dato più spazio alla composizione melodica, che farà storcere il naso a molti ma che comunque non stanca all’ascolto. Nove piccole delizie sonore da gustare e rigustare più volte per essere apprezzate appieno. Non siamo ai fasti di Images and Words, ma a me il disco è piaciuto. “Bridges in the sky” autentico capolavoro di canzone.

Voto: 7,5/10

Grewon


Saranno felicissimi seguaci dei Dream Theater nel ricevere la notizia: NON È CAMBIATO NULLA. Ci si aspettava una rottura con il passato dopo la clamorosa uscita di scena di Mike Portnoy, batterista storico e leader carismatico della band, sostituito da Mike Mangini (più che degno successore dietro le pelli!). Invece A Dramatic Turn of Events non è altro che l'ennesimo lavoro di una formazione che ormai non ha nient'altro da dire, che ha esaurito tutte le idee. Restano inarrivabili dal punto di vista puramente tecnico (cosa che non aveva certo bisogno di ulteriore conferma dopo la loro più che ventennale carriera!): l'esecuzione è perfetta, niente sbavature, nulla è lasciato al caso e la cura dei particolari è “maniacale”. La produzione, curata dallo stesso John Petrucci, è sicuramente all'altezza, molto pulita. Non del tutto convincente la prestazione di James LaBrie; il singer appare freddo, la voce è troppo distaccata dalla pasta sonora creata dagli strumenti. Un passo indietro, dunque, questo undicesimo disco, le cui aspettative erano ben altre. La sufficienza è assicurata comunque dall' enorme bagaglio tecnico dei componenti della band al quale si aggiunge quello di Mangini che sfodera un'ottima prestazione e non fa assolutamente rimpiangere il buon vecchio Portnoy!!!

Voto: 6/10
Pasq


Nel bene e nel male “A Dramatic Turn of Events” era destinato a far parlare di sè. Era troppa infatti la curiosità di vedere all’opera i Dream Theater senza un componente fondamentale qual’era Portnoy. Il sostituto Mangini è senz’altro all’altezza anche se la pressione sarebbe schiacciante per chiunque, come anche per gli altri componenti, attesi al varco con quest’album. La prova offerta dal gruppo è a mio parere pienamente positiva, l’album viaggia che è un piacere, denotando un’ispirazione che forse ultimamente stava venendo meno. Pezzi come “Bridges in the Sky” e “Build me up, Break me down” sintetizzano al meglio questa ritrovata verve, anche se forse come consuetudine dei Dream Theater ci si lascia andare oltremodo a tecnicismi spesso evitabili che finiscono per dilungare eccessivamente il brano.
Particolarmente riuscite le parti più melodiche, nonostante un LaBrie abbastanza “ordinario”a cui fa da contraltare un Petrucci sempre più leader.
Nel complesso un album di livello medio-alto, che riesce a emozionare, non era facile viste le premesse ma i Dream Theater si sono nuovamente confermati.

Voto: 7/10

Torrrmentor

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Recensione VOLTUMNA

Voltumna - Chimera
(2011, Autoprodotto)
Avantgarde Black Metal


Come per gli Insomnia Creep, da poco recensiti qui su Metalarci, anche per i Voltumna è difficile stabilire un sottogenere d’appartenenza preciso. Per convenzione li definirò “Avantgarde Black Metal”, intendendo col termine Avantgarde le contaminazioni di generi anche molto diverse tra loro.
L’ep che mi trovo tra le mani è il primo prodotto discografico di questa band (se escludiamo il loro primo singolo), e contiene 3 canzoni propriamente dette, più un intro strumentale. Lavoro molto breve quindi, di appena 14 minuti complessivi, che rende difficile farsi un’idea precisa di cosa intendano trasmettere i Voltumna, musicalmente parlando. I temi trattati riguardano la civiltà etrusca: scelta insolita ma quanto mai azzeccata, in un genere musicale che purtroppo troppo spesso vede scadere le sue tematiche nella banalità più assoluta. Il bagaglio tecnico dei musicisti è degno di nota, non c’è che dire. In alcuni punti un po’ troppo secco e statico, ma che comunque svolge più che bene il suo compito e crea un dignitoso tappeto sonoro alla voce, molto profonda ed espressiva e che mi ha ricordato lo Shagrath di “Enthrone Darkness Triumphant”.
Si tratta quindi di una band quantomeno originale, con molte idee e potenzialità, che però stentano ad uscire da “Chimera”, troppo breve per poter avere una valutazione onesta e precisa. Indubbiamente in sede live sarà tutta un’altra storia, ma avrei bisogno di qualche traccia in più per poter dare un giudizio dettagliato a questa formazione. Nel frattempo, gli amanti del Black (ma non i puristi dell’old-school) posso tranquillamente deliziarsi le orecchie con questo brevissimo ep.

Grewon

Tracklist:
01 – Rebuild the past
02 – Necropolis
03 – Tearless
04 – Volsinii


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Recensione RADICAL CRASH

Radical Crash - Danger In Progress
(2011, Autoprodotto)
Thrash Metal

I giovani mantovani Radical Crash si formano nel 2006 come band Heavy Metal/Hard Rock, e dopo diversi cambi di line up ed un demo datato 2009 arrivano alla formazione attuale che sposta decisamente il sound verso un Thrash Metal old school diretto e potente!
Ok, niente di originale nella proposta dei Radical Crash, proposta che si radica saldamente nel Thrash della storica bay-area, ma a discapito dell’originalità, bisogna riconoscere quello che i nostri fanno, lo fanno decisamente bene, e non si può chiedere di più se si ha voglia di ascoltare del sano e fottuto Thrash come lo si faceva una volta. Anche la copertina è bastardamente old school con tanto di orrendo disegno (adoro ste robe qui!!!) sicuramente fatto con matita e pastelli colorati, altro che immagini computerizzate che non comunicano niente… maledetta era telematica!
Tasto play premuto e si aprono le danze (o si da via al pogo) con “Demolition Devastation”, riffone senza compromessi e sezione ritmica trascinante (o thrashinante), e da qui alla fine dell’ep i brani si susseguono con la stessa intensità: struttura delle canzoni semplice ed efficacemente “in your face”, drumming costantemente martellante, assoli roventi e taglienti, e voce anche se un po’ acerba, rabbiosa e incazzata al punto giusto… da rivedere alcune parti corali.
La produzione è abbastanza casereccia, di conseguenza tutti i suoni risultano alquanto ovattati, e nonostante anche questo fa parte dell’universo “old school”, delle chitarre più nitide e una batteria più corposa non avrebbero di certo fatto male; il basso è un po’ troppo nascosto eccezion fatta per l’intro della conclusiva “We Will Never Surrender”, ma nel complesso i brani risultano sufficientemente compatti e ascoltabili. La delusione arriva nel brano “Sommossa Violenta”, ma tale delusione scaturisce semplicemente dal mio personale amore per la lingua madre anche nei generi musicali più violenti… mi aspettavo il pezzone con il testo in italiano, e invece in italiano c’è solo il titolo del brano, e questa scelta mi lascia quanto meno perplesso… il brano in sé comunque si lascia apprezzare per lo spirito Punk/Hard Core che ha racchiude dentro: una canzone che più che di violenza ha il retrogusto di lotta!!!
Siamo nel 2011, e di cose di questo genere ne abbiamo ascoltate a bizzeffe, se i Radical Crash riusciranno in futuro ad inserire nel loro sound qualcosa di innovativo che li faccia emergere ancora di più sarà un enorme passo in avanti, ma se così non fosse… chi se ne frega, la botta c’è e le vibrazioni anche! Qualcuno un po’ di tempo fa disse: “It’s only rock ‘n’ roll… but I like it”… provate a smentirlo!!!


Piranha
Contatti:
radicalcrash@hotmail.it
www.myspace.com/radicalcrash

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Recensione LAST FRONTIER

Last Frontier - Apocalypse Machine
(2010, Autoprodotto)
Heavy Metal

Attivi dal 2005, i campani Last Frontier, dopo tre demo si lanciano sulle lunghe distanze dando alle stampe nel 2010 il loro primo full lenght intitolato “Apocalypse Machine”, un titolo oscuro come le tinte che aleggiano nel sound del disco in questione, e l’intro quasi da colonna sonora dell’opener “Waiting For The Eclipse” ne è un valido esempio.

I Last Frontier ci propongono un Heavy Metal atmosferico e alquanto articolato, che nelle parti più pompose potrebbe riportare a qualcosa degli americani Savatage, chiaramente con le dovute distanze, con una certa vena progressiva nello stile degli ultimi Maiden. Sette brani per un totale di oltre 54 minuti di musica parlano chiaro sulla durata delle singole tracce in cui si sprecano cambi di tempo e di atmosfera, e purtroppo questa è una pecca perché troppo spesso i brani più che lunghi risultano allungati con brodaglie strumentali che possono arrivare a stancare l’orecchio dell’ascoltatore. La tecnica c’è in ogni singolo elemento del gruppo, le parti di tastiera e piano di Cyrion Faith danno un tocco gotico all’intero album, gli assoli di chitarra di Nitrokill sono caratterizzati davvero da un ottimo gusto per la melodia e da una notevole tecnica, e la voce rabbiosa e calda di Mich Crown ha buoni risultati anche quando si lancia in note alte, il falsetto lancinante di “Metamorphosys” lo dimostra, e il tutto è ben sorretto dal basso di Adrian Dèi e dall’incalzante drumming di Zarro B. Cruel. Purtroppo tutto ciò non è supportato da una buona produzione, in cui sovente le chitarre sembrano un tantino nascoste e non danno quella botta Heavy che darebbe sicuramente un migliore impatto al sound del disco! Il songwritng della band si nota che è molto ricercato, e c’è molto lavoro in cantina per arrivare al risultato dei brani che compongono “Apocalypse Machine”, una canzone articolata come “Summoning Armageddon” non viene fuori in quattro e quattr’otto, ma come dicevo sopra queste parti variegate risultano più croce che delizia nell’amalgama del prodotto, tanto che il brano meglio riuscito sembra “Black Horizon”, il brano più corto del lotto, che in poco meno di 6 minuti (soltanto 6!!!) sciorina un ottimo impatto Power e viaggia su coordinate costantemente Heavy.
Perdersi in minutaggi eccessivi non è cosa buona, ma di certo non è un male incurabile, una struttura dei pezzi più snella e concisa sarebbe una soluzione, ma anche arricchire i brani con più parti cantate, che potrebbero meglio coinvolgere l’ascoltatore nel seguire il variopinto universo sonoro dei Last Frontier, potrebbe risultare un’arma vincente… in conclusione il disco è apprezzabile, ma si può e si deve migliorare.


Piranha

Contatti:
info@last-frontier.it
www.last-frontier.it
www.myspace.com/lastfrontierband
www.youtube.com/lastfrontiermusic

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Recensione DAIMON DUST

Daimon Dust – Inject Your Venom
(2011, Autoprodotto)
Thrash Metal

I Diamon Dust, nati a Caserta dalle ceneri degli Zion, dopo il demo di esordio del 2010 intitolato “Death is Coming” e qualche cambio di line up registrano l’ep “Inject Your Venom”, e ad un solo anno di distanza già si intravede qualche passo in avanti.
A mio modo di vedere già la copertina (teschiaccio con tanto di siringa piantata in fronte) rappresenta bene ciò che ci apprestiamo ad ascoltare. Il genere proposto è molto ottantiano, con un particolare sguardo al Thrash dei Metallica, specie negli assoli di chitarra, ma attenzione, non ci troviamo di fronte a una delle tante bands che non fa altro che scopiazzare in malo modo un disco o un gruppo, le loro influenze sono abbastanza variegate, infatti si va dell’opener “Venom”, già presente sul demo d’esordio, una Thrash song non troppo spinta, alla successiva “A Nice Place to Die” che parte con un’intro molto sabbathiana, da “Behind Yourself” che in un punto ricorda tantissimo “Am I Evil” dei Diamond Head (sarà che i nostri casertani devono il loro monicker anche alla storica band inglese, o magari del brano nominato hanno solo ascoltato la cover dei Metallica?), a “Diamond Dust” dove alcune melodie vocali un tantino orientaleggianti fanno venire in mente addirittura Serj Tankian dei S.O.A.D. (che si sa, con gli anni ’80 non centra una ceppa, ma questo dimostra i molteplici input che arrivano ai Diamon Dust), fino alla conclusiva “Welcome To The End”, l’unico pezzo propriamente Thrash che riporta ai tempi di “Master Of Puppets”. L’ascolto dell’ep in questione scorre liscio senza infamia e senza lode al primo ascolto, ma se ci si sofferma salta fuori nel songwriting un elemento importante nonché alquanto raro di questi tempi: il gusto del ritornello!!! I Dimon Dust se la cavano egregiamente con gli strumenti, ma senza strafare e di certo non saltano all’orecchio per particolari qualità tecniche, ma ogni brano ha un refrain efficace, che rimane ben impresso e che trascina per ritmo e melodia grazie anche a dei cori decisamente azzeccati, e tutto ciò è oro colato nel 2011 in cui vecchie e nuove bands cercano di imporsi con una affannosa ricerca di qualcosa che non è stata fatta,e probabilmente se qualcosa non è stata fatta ci sarà un motivo… fanculo all’originalità sforzata, la musica deve far battere qualcosa dentro! La voce di Andy sulle tonalità medio-alte a volte sembra sforzare, ma regge l’urto senza patemi, la sezione ritmica fa bene il suo lavoro, e gli assoli di chitarra sembrano dimostrare che Luigi ha ben appreso la lezione di Kirk Hammet del Black Album.
In definitiva i Diamon Dust, anche se un po’ acerbi, con questo “Inject Your Venom” presentano un buon biglietto da visita, e data la giovane età della band le premesse per fare bene ci sono tutte!



Piranha
Contatti:
www.facebook/DiamonDustce
diamond-dust@hotmail.it

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LIVE REPORT - SUMMER BREEZE 2011

17.08.11 - 20.08.11 - Dinkelsbühl - Germania

Quest’ultima edizione del Summer Breeze non ha riservato grosse novità a livello organizzativo: il Party Stage, quello al coperto, è stato un po' ingrandito, per forza di cose considerando il tutto esaurito annunciato già mesi prima.
Ciò nonostante il sovraffollamento è stato costante e fastidioso soprattutto negli ultimi giorni.


MERCOLEDI 16 AGOSTO:

In realtà l’inizio ufficiale del festival è annunciato per il giorno dopo, ma i concerti cominciano già oggi per il cosiddetto “Warm Up”.
I primi a fare casino, come ogni anno, sono loro, il “Musikverein Illenschwang”, cioè una banda dotata di trombe e tamburi del paesino adiacente alla località del festival.
Negli anni precedenti facevano una vera e propria parata attraverso il campeggio, quest’ anno no.
Segue il “New Blood Award”: una manciata di band emergenti tedesche si sfidano per aggiudicarsi la possibilità di suonare sul Mainstage il giorno dopo.
Quest’ anno i vincitori sono stati gli “Steve from England”.
Dopo tutto ciò è finalmente arrivato il momento per qualche band decente: i MELECHESH sono stati i primi a suonare sul Party Stage, gran parte del tendone era pieno e il pubblico si è dimostrato molto partecipe. Ottimo lo show offerto dai sumeri anche se le chitarre non si sentivano un granchè.
Segue il gruppo più popolare della giornata, gli SCAR SYMMETRY, il tendone si riempie ancora di più, buona pure la loro prestazione anche se ogni tanto al cantante sfuggiva qualche falsetto. I DESTRUCTION sembravano un po' annoiati sul palco, insomma musicalmente parlando erano perfetti solo mancava un pò di interazione col pubblico.
I Vader sono gli Headliner di questa giornata e in effetti hanno svolto egregiamente il loro compito presentando uno show energico e coinvolgente. Ancora una volta però i suoni non erano perfetti.


GIOVEDI 17 AGOSTO:

Oggi fa ancora più caldo, purtroppo nell’area del festival, a parte il tendone del Party Stage non c’è alcuna possibilità di sfuggire al sole…
VREID sono i primi di una tripletta di band Black Metal dalla Norvegia: show godibile, i ragazzi s’impegnano ma il tendone resta mezzo vuoto, il pubblico un pò addormentato. Per I KVELERTAK abbiamo almeno tre volte tanto pubblico, il loro e un genere un po' difficile da descrivere, hanno un attitudine un po' Punk, comunque la maggior parte pubblico sembra apprezzare.
Il cantante dei KAMPFAR ce la mette tutta ed in effetti i ripetuti incitamenti funzionano: il risultato e uno show energico ed un ancor più energico feedback!
In scaletta canzoni nuove con un occhio di riguardo per album come “Norse” e “Ravenheart”.
Sul Mainstage inizia lo show degli ARCH ENEMY sulle note di “Kaos Legions” tuttavia il resto del concerto prosegue nella noia: Angela sta li, salta, urla, strafa… e alle nostre orecchie giunge il solito muro sonoro che però non coinvolge più.
A sollevare le sorti della serata sono stati i DECAPITATED con un concerto pazzesco, davvero una delle migliori sorprese!
Li abbiamo già visti in Italia in precedenza ma stavolta e’ stata un esperienza eccezionale: riff ultraviolenti e suoni perfetti. E il tendone diventa strapieno.
Seguono in scaletta gli HACKNEYED, una giovane band tedesca, i membri sembrano avere tutti circa 20 anni e propongono un Death/Hardcore ben accolto dal pubblico di compatrioti.
E’ la volta degli IN EXTREMO, una delle band più attese dal pubblico tedesco: il loro show prosegue fra fuochi d’artificio e acrobazie del cantante, balli folkloristici e costume da Jack Sparrow….per chi non e’ amante del genere e’ meglio tenersi alla larga.
I MARDUK fanno qualcosa di pazzesco, perfetto: suoni da album, setlist varia con canzone di tutte le epoche, Mortuus e’ sempre incazzatissimo ma e’ cosi che ci piace.
C ‘e pure il tempo per un bis con “Azrael”.
Sul Party Stage intanto va avanti un baccanale con gli EXCREMENTORY MOTHERFUCKERS: nonostante l’ora tarda il tendone e’ strapieno ed assistiamo ad uno show violento ma divertente…ogni tanto qualche membro dei VARG decideva di passeggiare sul palco senza alcun motivo apparente… Con piacere scopriamo che il cantante dei Dark Funeral è ancora in circolazione con la sua band, i WITCHERY, davvero una bella sorpresa: il genere e’ un po' diverso, siamo più su un Death/Thrash Metal. Tuttavia vesti e facepainting sono sempre gli stessi.
Infine alle 2 di notte iniziano gli Aborted: nonostante l’ora tarda assistiamo ad un concerto energico e pure il pubblico, nonostante la lunga giornata di festival sotto al sole , risponde alla grande.
Quella notte, qualche ora più tardi, un violento nubifragio si abbatte sul festival sradicando diverse tende e allagandone altre…


VENERDI’ 18 AGOSTO:

Il primo gruppo di oggi sono gli HAIL OF BULLETS: inizialmente non convincono molto, non c e’ molto movimento, andando avanti pero’ lo show diventa piu’ energico. Dedicano pure una canzone alle 4 persone che sono morte ad un festival in Belgio il giorno prima per via di un nubifragio. Davvero bravi gli ENSLAVED, cercano pure di parlare a stenti in tedesco ma nessuno capisce….in ogni caso il loro lavoro lo fanno benissimo,ottimi i suoni, il risultato è un concerto mozzafiato.
Passiamo ai TURISAS…..stavolta suoni orripilanti, uno schifo totale ma lo stesso riescono ad esaltare. Non stanno fermi un attimo, il cantante Mathias Nygard parla tantissimo, al punto da penalizzare la stessa setlist in termini di minutaggio.
Molto meno gente del previsto a vedere I BOLT THROWER, show buono ma senza particolari picchi da segnalare per chi non ne è un fan sfegatato.
Seguono in scaletta sul Pain Stage gli AMORPHIS: il cantante potrebbe seriamente ferire qualcuno durante l’headbanging con I dreadlock che si ritrova.
Comunque lo show e’ davvero bello, un set vario che ripesca canzone di tutte le epoche, davvero meritato il posto da headliner.
Nel Party Stage ci e’ stata la brutta sorpresa di ritrovarsi I VICIOUS RUMORS al posto degli ATHEIST, la notizia non era stata annunciata quindi molti lo scoprono solo ora..
Gasatissimi sul palco I Kataklysm per due (buoni) motivi: festeggiano i loro 20 anni e registrano lo show per il prossimo dvd.
La setlist è un po' diversa dal solito, riusciamo a sentire molte canzoni vecchie mai suonate dal vivo prima, oltre ovviamente alle loro hit: davvero energico lo show, si vede da lontano chilometri che ce la mettono tutta…pero’ il cantante e’ logorroico, non c e’ niente da fare.
Restiamo svegli fino a notte inoltrata per vedere gli EINHERJER e come noi molti altri: inizialmente i suoni li penalizzano pesantemente ma dopo un po’ va meglio. Propongono pure una canzone nuova che sfortunatamente suona come un altro loro pezzo ben conosciuto…nonostante questo lo show è di buon livello e la veglia ne è valsa la pena.


SABATO 19 AGOSTO:

Ultimo giorno: troppo presto per miei gusti (11.30) suonano I BENIGHTED.
Comunque sono il gruppo giusto per svegliarsi, davvero eccezionali. Il cantante oltretutto dedica una canzone al suo dentista, un'altra invece è per il chitarrista che a breve si sposa. Invece il bassista si rende protagonista di un crowsurfing che non sembrava finire mai.
E’ un piacere vedere che un gruppo che non sta sul palco per lavoro, ma che a ogni concerto si diverte come se fosse la prima volta.
Piu’ tardi andiamo nel Party Stage dove incontriamo gli esaltatissimi SWASHBUCKLE con il loro look da pirati, il tendone e’ talmente pieno che chi arriva tardi non ha modo di entrare. Musicalmente parlando suonano un Death-Thrash Metal abbastanza godibile, comunque ancora non mi sento di condividere l’entusiasmo della maggior parte della folla nei loro confronti.
Seguono subito dopo gli OBSCURA: questo gruppo tedesco e’ in continua ascesa da diversi anni ormai.
Le loro canzone non sono esattamente semplici da rendere in sede live ma il risultato e’ convincente e la crescente fama assolutamente meritata.
Per quanto riguarda TARJA non c’e molto da dire, la maggior parte del pubblico era lì per caso o per curiosità, un piccolo gruppo di veri fan si è accalcato sotto il palco ed effettivamente cantava tutto a squarciagola, lanciava cuori di peluche sul palco, ecc…
La setlist ripesca piu’ di una canzone dalla Nightwish-epoca come “The Siren ” e la cover “Over the hills”.
Corsa verso il Party Stage dove suonano I TYR: in scaletta per lo piu’ canzone nuove, il cantante Heri ha avuto un brutto inizio, certe volte sembrava cantare in falsetto, comunque col procedere del concerto migliora pure la sua performance.
Il pubblico e’ numeroso e partecipe.
I GOD DETHRONED hanno suonato il loro ultimo concerto stasera. Sono stati proposti pezzi di tutta la loro carriera, in particolare da “Boiling Blood” e “Under the sign of an iron cross”. Concerto coinvolgente, perfino I suoni erano perfetti stavolta.
I Vomitory fanno vomitare, ma per la gioia! Davvero uno dei migliori concerti del festival. Veloci , brutali e suoni da album. Il pubblico reagisce a dovere.
Infine alle 2 di notte inizia a suonare un gruppo greco, i Rotting Christ. Suoni un pò troppo sparati, la batteria andava per fatti propri comunque nel complesso è stato piacevole e un buon modo per concludere il festival.


Giulia Pullo


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