lunedì 31 ottobre 2011

Intervista - THE COLLECTIVE UNCONSCIOUS

1) Come si è formato il gruppo e qual è l'obbiettivo che si è prefisso? (insomma un po' di info sulla band!)

(Antonio) Il gruppo si è formato nel lontano 2007 da un'idea mia e di Giacomo. Ci siamo incontrati in una scuola di musica di Roma e abbiamo deciso di unire le nostre forze per creare qualcosa di concreto che rispecchiasse i gusti e le esperienze musicali maturate fino ad allora. Un primo periodo l'abbiamo passato suonando e registrando qualche idea chiusi nella sua cameretta, ma quasi subito abbiamo sentito la necessità di allargare il gruppo cercando gli altri componenti della band e dopo varie ricerche e cambi di line-up ci siamo stabilizzati con Marco alla chitarra che è stato il primo ad entrare in pianta stabile e subito dopo Claudio alla batteria e infine Guglielmo alla voce. Non credo ci sia un obiettivo che ci siamo posti se non quello di far arrivare la nostra musica a più persone, cosa che si sta rivelando un'impresa ardua visto la situazione discografica e i trend musicali italiani. Per il nostro primo full lenght punteremo di certo all'estero.
(Claudio) Credo si possa dire che il gruppo si sia formato quel giorno che ci siamo ritrovati ad accennare “The Bound” nella sala più piccola della storia delle scuole di musica, ero scosso ed ho suonato malissimo ma comunque c'erano già delle idee sulle quali lavorare quindi poteva bastare, cominciavamo il percorso lì ed era il 2007. L'obiettivo della band è fare musica liberamente sempre e comunque come piace a noi, poi naturalmente sgomitiamo nell'underground per avere qualche attenzione in più che sicuramente meritiamo.


2) L'idea del nome della band è molto originale.
Chi ha avuto questa idea e perchè.

(Guglielmo) La scelta non è stata casuale. Mi piaceva pensare che fosse un biglietto da visita, che fosse un contenitore per i testi che sarebbero venuti in futuro.
Il concetto di inconscio collettivo è talmente complesso e vasto che non può essere descritto in due righe, quindi vi rimando a quegli autori che hanno scritto fiumi di pagine al riguardo... posso dire in breve che è intimamente connesso ad una visione dell'uomo che travalica i confini personali e temporali. Cercare di entrare in contatto con questa dimensione, più ampia ed impersonale del mondo psichico quotidiano, mi stimola a comprendere meglio l'Esistenza con la E maiuscola; se dovessimo fare il classico esempio del viaggio come metafora della vita spesso ci dimentichiamo che le nostre potenzialità sono impressionanti, svilendo noi stessi, accontentandoci del traguardo raggiunto.
Ecco di cosa mi interessa trattare nei Collective: quali sono i nostri "blocchi"; cosa ci impedisce di andare oltre; in quanti modi possiamo cadere in questo empasse; e dove potremmo arrivare se riuscissimo a conoscerci meglio? Ridurre comunque il gruppo a queste tematiche credo sia riduttivo. Partiamo dal nome per poi andare a finire chissà dove...


3) Quali sono le maggiori influenze per la band in generale e in particolare per i singoli componenti?

(Antonio) Qui posso parlare solo a nome mio in quanto il gruppo è formato da elementi piuttosto eterogenei in fatto di gusti, nonostante c'è sempre un filo comune che ci lega. Ascolto un pò di tutto dalla Dubstep agli Artic Monkeys. Difficile poter menzionare tutte le influenze ma se devo farlo direi che i gruppi che mi hanno maggiormente influenzato in questi anni sono stati sicuramente Tool, A Perfect Circle, Oceansize, Isis e Neurosis.
(Marco) Le ultime 5 band nominate da Antonio credo siano quelle in comune un po' a tutti noi. Io personalmente aggiungerei Pink Floyd, la band che mi ha cambiato la vita artisticamente parlando, Porcupine Tree, Opeth, Anathema, insomma quella parte di sound più britannico/europeo che abbiamo è dovuta a me eh eh eh! E poi non posso tralasciare il tanto caro e sano Heavy Metal che mi accompagna dall'adolescenza.
(Claudio) Ognuno di noi ascolta cose diverse, o meglio ascoltiamo tutti tantissima musica, naturalmente ci sono dei punti in comune, dei riferimenti iniziali che servono ad una band per cominciare... Comunque cerchiamo tutti di dare un contributo originale al pezzo contaminandolo con parecchie influenze diverse per poi tirare fuori un sound, che con il tempo diventerà sempre più riconoscibile (ci stiamo lavorando).
Infatti nessuno si è accorto che su “Stupid Spoiled Whores” io in realtà suono “Come Together” dei Beatles!
(Giacomo) Per quanto mi riguarda, io sono cresciuto a “pane e Led Zeppelin”, infatti il mio primo strumento è stato la batteria… poi gli ascolti si sono evoluti con l’età: dai Beatles ai King Crimson, The Cure (Simon Gallup è uno dei bassisti che mi ha più influenzato), Philip Glass, Radiohead, molta elettronica e così via…
(Guglielmo) Stando a quanto ho letto sulle recensioni dell'EP, Tool ed A Perfect Circle sono le band che vengono nominate più frequentemente, anche se ne sono stati fatti di nomi... mi trovo abbastanza d'accordo, ma in realtà siamo alla ricerca di una nostra identità specifica alla quale teniamo molto. Chiaramente non si può non tener conto della nostra formazione musicale, che inevitabilmente ci ha plasmati, ma non vorrei che questo diventasse uno stigma per i Collective. Personalmente non saprei dire cosa maggiormente mi influenza in fase di composizione, posso solo dire che ho amato band come Soundgarden, Faith No More, Alice In Chains fin dall'adolescenza (periodo in cui ero circondato da metallari doc ai quali comunque devo molto!).
Ora posso ascoltare dagli Offlaga Disco Pax (band italiana che stimo molto) ad Hanne Hukkelberg, ai Mogwai.
Io comunque darei più importanza all'influenza che le nostre singole personalità hanno sul gruppo e tutto ciò che lo riguarda. Siamo cinque individui molto diversi tra loro che insieme generano un equilibrio imbarazzante nella personalità dei Collective. Questo, per me che lo vivo in prima persona, emerge palesemente nei nostri brani.


4) Qual è il vostro metodo compositivo: chi scrive i testi, di cosa trattano, chi scrive la musica e come arrangiate i pezzi.

(Antonio) Solitamente si parte da un riff di chitarra mia o di basso e ci lavoriamo su fino a quando non ci soddisfa pienamente. E' un processo molto lungo a volte ma nella quale ognuno di noi è fondamentale. Una volta che abbiamo dato forma al pezzo, Guglielmo inizia a lavorarci su per trovare la giusta linea melodica e il testo per far si che venga modellato smussato e infine chiuso.
(Marco) Ci sono pezzi nati e chiusi in pochissimo tempo, tipo "Pure Cradle", una canzone nata da un riff di basso pieno di delay su cui noi altri abbiamo ideato le nostre parti con una naturalezza che ricordo ci fece spavento, nel giro di 3 prove il pezzo era chiuso con tanto di testo e linea melodica, ed è rimasto lo stesso da quel giorno fino alla registrazione. O la stessa "Stupid Spoiled Whores", venuta su cazzeggiando su un riff malato di Giacomo... Sono momenti straordinari, in cui le nostre menti sono in totale condivisione! Ovviamente non è sempre così, The Bound ad esempio, ma anche altri pezzi ancora in cantiere, in origine era molto diversa dalla versione finale, abbiamo dovuto adattare e/o rimuovere intere parti per permettere a Guglielmo di inserire le sue linee melodiche. In questi casi succede che la situazione diventi anche abbastanza difficile, perchè si tratta di rimuovere un idea ormai radicata nella mente, e ripartire da zero, uno sforzo mentale non indifferente, ma pur sempre stimolante e appagante quando si trova poi la soluzione.
(Giacomo) L’unico modo efficace per essere produttivi è la buona e vecchia “cantina”: siamo una band che ha davvero un gran bisogno di suonare e provare molto; più tempo passiamo in sala prove e più componiamo, ovviamente. Ognuno di noi contribuisce al meglio con il proprio strumento e le proprie idee. La cosa molto stimolante è che siamo sempre in continua ricerca: sono sicuro che i nostri futuri pezzi avranno un altro suono e un’altra atmosfera rispetto a quelli dell’EP, magari grazie all’uso di altri strumenti elettronici e acustici.
(Guglielmo) Io mi occupo della linea melodica e dei testi. Mi piace pensare di poter affrontare qualsiasi argomento a me caro nel momento specifico in cui scrivo un pezzo. Può capitare che abbia un'idea che attende il brano giusto per svilupparsi, come è capitato per “The Bound” od “Orphan” (brano, quest'ultimo, che non si trova sull'EP), oppure venire ispirato dalle emozioni che il pezzo in cantiere mi trasmette al momento, come in “Pure Cradle”, “Stupid Spoiled Whores” o “Woodworm”.
Nell'EP i quattro brani raccontano in qualche modo le potenzialità ed i limiti della mente umana. “The Bound” è una canzone nella quale emerge la piccolezza dell'uomo che si confronta con i confini del proprio pensiero, con l'impossibilità di comprendere il mondo esterno nella sua completezza; in “Pure Cradle” c'è il potere della musica che aiuta l'uomo a darsi delle risposte bypassando la razionalità, dritta verso una dimensione puramente emotiva; in “Woodworm” c'è una persona alle prese con i propri "pensieri fissi", le proprie ossessioni, che ostacolano una crescita potenzialmente infinita; “Stupid Spoiled Whores” è stato un pò un gioco per me ed è un testo che alleggerisce l'atmosfera... Ho provato ad immaginare i desideri e le ambizioni di tutte quelle simpatiche signorine di bell'aspetto un pò istrioniche che fanno della loro avvenenza l'unica qualità sulla quale puntare.


5) Come e da cosa nasce l'idea di incidere The Collective Uncoscious EP.

(Antonio) L'idea nasce dalla voglia di fare un salto di qualità ed aver un prodotto professionale da poter mandare in giro e cercare di ottenere così un contratto discografico.
(Marco) Dopo anni chiusi in sala a provare e tirare fuori idee, era arrivato il momento di avere finalmente un prodotto in mano, per potersi presentare ma anche per una soddisfazione personale. L'idea di mettere "nero su bianco" quello per cui abbiamo lavorato seriamente per 3 anni era il giusto passo da fare per chiudere il cerchio, i pezzi dell'EP rispecchiano le nostre prime idee, i primi The Collective Unconscious, e sono brani a cui teniamo parecchio. Sarebbe stato un delitto non registrarli in studio.
(Claudio) E’ sempre bello avere fra le mani il proprio disco, ci piaceva l'idea di racchiudere dentro una scatola tutto il primo capitolo dei Collective e di farlo girare un po’ per vedere che effetto faceva.
(Giacomo) Era la cosa giusta da fare. Incidere i brani più significativi e rappresentativi dalla nascita della band. Ora dobbiamo impegnarci per trovare la giusta etichetta, la più adatta possibile alla nostra musica e mi dispiace dirlo, ma non penso che sia qui in Italia.


6) Qual è il vostro approccio allo studio di registrazione.

(Marco) Entrare in studio è sempre un’esperienza unica. A noi piace sperimentare, quando hai però poco tempo (e soprattutto denaro) ogni scelta assume un’importanza decisiva, e devi saper coniugare fantasia e praticità per ovvi motivi. Speriamo di poter avere più tempo e tranquillità quando registreremo il nostro primo disco, secondo me è tra i fattori più importanti per arrivare ad avere un prodotto che davvero ci soddisfi al 100%!
(Claudio) E’ sempre un momento delicato per quanto mi riguarda, registrare è molto difficile soprattutto se non hai tutto il tempo che vuoi per farlo, quindi in quei momenti penso a cose che mi caricano all'istante come il rendere onore allo strumento che suono o ringraziare, dando il meglio di me, tutte quelle persone che credono in quello che faccio.
(Antonio) E' un'esperienza interessante in quanto ti permette di vedere i pezzi secondo una prospettiva diversa. Spesso mentre suoni sei così preso dalla musica che non fai caso a tutti i dettagli che in fase di registrazione vengono fuori. Capita quindi di modificare delle parti o suonarle in modo diverso solo nel momento in cui ti ritrovi in studio e devo ammettere che è molto stimolante notare i piccoli errori o anche solo rivedere un arrangiamento per renderlo più efficace.


7) Quali sono le aspettative per il disco che avete registrato.

(Antonio) Direi che ormai le aspettative sono poche. A parte le recensioni positive e qualche live siamo riusciti ad ottenere poco ma non ci arrendiamo di certo. Punteremo tutto sul nuovo lavoro che è già in fase di scrittura e dovrebbe arrivare entro l'estate prossima. E' un lavoro diverso rispetto a questo nostro primo EP, stiamo maturando un sound "nostro" e non vediamo l'ora di poter entrare in studio e registrare i pezzi nuovi.


8) Parlateci dei vostri live. Qual è il vostro approccio al palco.

(Antonio) Siamo decisamente una band statica, niente pose da finti rocker o tarantolati da scosse elettriche, ci concentriamo sulla musica e sulla buona riuscita dei pezzi questo per me è l'importante. L'aspetto prettamente visivo per me va inteso come attenzione alle scenografie, luci, videoproiezioni e in questo senso speriamo di poter metterci a lavoro presto per fare del nostro live anche un'esperienza visiva oltre che sonora.
(Marco) Ognuno vive il live in maniera personale, per dire io muovo continuamente e affianco a me c'è Giacomo che è completamente immobile con gli occhi chiusi, per noi è un viaggio mentale, spesso neanche ci guardiamo più di tanto tra di noi, chi ci vede potrebbe pensare che suoniamo ognuno per fatti suoi, e invece noi stiamo godendo del nostro viaggio "collettivo" ed è quello il nostro modo di comunicare al pubblico, la nostra musica a servizio dell’ascoltatore... Sembra un discorso da freakettone però è davvero così!
(Giacomo) Sono perfettamente d’accordo con i miei cari chitarristi. I nostri live sono sempre diversi l’uno dall’altro e noi ce li viviamo sempre come un viaggio, un’esperienza unica. Vorrei tanto che anche il pubblico entrasse in simbiosi con noi durante il concerto, ma per far si che questo accada, come diceva Antonio, dobbiamo studiare bene la parte visiva: avere le giuste luci, le giuste videoproiezioni, ecc…


9) In conclusione cosa ne pensate della scena musicale italiana (ovviamente per quanto riguarda il rock o i generi underground)

(Antonio) Ci sono ottime band in Italia che sanno suonare e hanno qualcosa da dire, purtroppo mancano gli spazi adatti, la professionalità e le persone che sono disposte a fare scelte coraggiose e puntare su un prodotto "non commerciale".
Non dimentichiamoci che l'Italia è il paese che concepisce il Rock come quello suonato da Vasco Rossi o Ligabue o di prodotti da supermercato come quei fantocci che escono dai Reality Show. E' una situazione sconfortante purtroppo e trovare la motivazione e la forza a portare avanti il proprio progetto non è sicuramente facile, ma sono sicuro che la coerenza e la caparbietà alla fine pagano.
(Marco) Completamente d’accordo con Antonio. Quello che noto è che c’è ormai una netta suddivisione tra mainstream e underground, due mercati che viaggiano su linee parallele, come fossero due mondi distinti. Ci si rivolge ad un pubblico diverso, con delle scelte artistiche diverse, attraverso canali e linguaggi diversi. E questa cosa per me è assolutamente positiva, perché mentre tra major e grandi artisti c’è ormai un appiattimento e una chiusura verso l’esterno che fa paura, nell’underground c’è un continuo evolversi di band, etichette, movimenti e perché no anche mode. Ovviamente c’è da sgomitare anche nell’underground, ma vedendo le realtà che stanno venendo fuori in questi ultimi anni (vedi Teatro degli Orrori) non c’è che esserne fiduciosi per il futuro della musica italiana.
In realtà penso anche che con i TCU siamo tagliati fuori pure da questo discorso, per via della lingua inglese e del genere poco “vendibile” al pubblico italiano.
(Giacomo) Penso che la buona musica nel nostro paese c’è e c’è sempre stata: dalla lirica ai cantautori, dal Progressive al Rock ai giorni nostri (Verdena, Marlene Kuntz, Afterhours, CSI…). Il vero problema sono le radio, le tv, le major che hanno smesso di considerare da tempo la musica arte, ma solo uno dei tanti modi per fare soldi, troppi soldi, così rincoglioniscono la gente martellandole il cervello 24 ore su 24, convincendola che la vera musica italiana è quella che propongono loro. Speriamo che grazie ad internet e alle persone come noi e voi, tutto questo un giorno finisca, ma ho paura che sia quasi un’utopìa…


Conclusione:
(Marco) Grazie Pasquale (grande amico!) e grazie a Metal Arci per averci dato questo spazio e la possibilità di parlare dei The Collective Unconscious, grazie davvero del supporto!!!

Pasq